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Crisi di governo, Conte al Senato: “Il governo finisce qui, darò le dimissioni al presidente Mattarella. Salvini ha seguito interessi personali e di partito”

La seduta è iniziata con l’ingresso del premier che ha stretto la mano a tutti i suoi ministri. Conte ha ricordato che fin da subito aveva annunciato che in caso di fine anticipata del governo, questa sarebbe stata portata in Parlamento e non gestita in sede extraparlamentare. Ha ricordato la decisione di Salvini di togliere, lo scorso 8 agosto, la fiducia al governo e ha sottolineato che il gesto è stato «particolarmente grave»: sia perché ha interrotto l’azione di un governo «che in un anno ha realizzato molti risultati», sia perché ha mandato in fumo «il progetto di cambiamento uscito dalle urne il 4 marzo». «Il leader della Lega — ha sottolineato Conte — è venuto meno al contratto di governo che lui stesso aveva sottoscritto». C’è poi la decisione di avviare la crisi ad agosto, con ipotesi di elezioni in autunno e il conseguente rischio di non avere un governo in grado di attuare una valida legge di Bilancio e fortemente a rischio di esercizio provvisorio di bilancio. «Questa crisi avviene in un momento delicato per l’interlocuzione con le istituzioni europee» ha detto il premier, evidenziando che nel timing europeo in questo momento sono in corso le trattative per la nuova composizione della Commissione Europea, trattative a cui l’Italia si presenta inevitabilmente indebolita.

«È stata irresponsabile la decisione di innescare una crisi di governo — ha tuonato —. Il ministro dell’Interno ha mostrato di inseguire interessi personali e di partito». Conte ha poi ricordato all’alleato l’importanza di mantenere, dopo averli assunti, gli impegni istituzionali, trovando una mediazione con gli interessi della propria parte politica. «Le scelte compiute e i comportamenti adottati in questi ultimi giorni dal ministro dell’Interno, e mi assumo la responsabilità di quello che affermo, rivelano scarsa sensibilità istituzionale e una grave carenza di cultura costituzionale».

Perché aprire la crisi ad agosto – si è chiesto Conte — quando era già chiara, dopo le elezioni europee, l’insofferenza della Lega? «È stato un gesto di grave imprudenza istituzionale nei confronti del Parlamento, suscettibile di precipitare il Paese in una fase di incertezza politica e debolezza finanziaria. Peraltro annunciata dopo la fiducia ottenuta sul decreto Sicurezza bis, una scelta temporale che suggerisce opportunismo politico». Il tutto senza che vi sia stato, in coerenza, il ritiro della delegazione leghista al governo.

«Avete accreditato l’idea di un governo dei no macchiando 14 mesi di attività di governo — ha rilevato Conte – mettendo così in dubbio anche l’attività dei vostri ministri e sottosegretari che mi hanno affiancato». Il premier ha poi ricordato i tanti provvedimenti adottati dall’esecutivo, accusando la Lega di avere «oscurato» e «offuscato» il lavoro svolto. «Questo è un governo che ha lavorato intensamente fino all’ultimo giorno e prodotto significative riforme, altro che governo dei no». Per Conte la verità è un’altra, e cioè che all’indomani delle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento la Lega abbia cercato a tutti i costi di prendere le distanze dall’esecutivo per poi cercare di monetizzare anche in chiave nazionale il consenso ottenuto nel voto europeo.

«Caro Matteo – ha poi detto Conte rivolgendosi direttamente al suo vicepremier — , promuovendo questa crisi di governo ti sei assunto una grande responsabilità di fronte al Paese. Hai chiesto pieni poteri e hai invocato le piazze a tuo sostegno. Questa tua concezione mi preoccupa. Le questioni istituzionali non si regolano nelle piazze ma nel Parlamento». Citando poi Federico di Svevia ha detto che «non abbiamo bisogno di persone con i pieni poteri, ma di persone con piena responsabilità».

Il presidente del Consiglio non ha sorvolato sulle vicende legate al cosiddetto «Russiagate» che vedono coinvolto lo stesso Salvini: «Se tu avessi accettato di venire a riferire in Senato su una vicenda che richiede di essere chiarita anche per i riflessi internazionali avresti evitato problemi al tuo presidente del Consiglio». Gli ha poi rinfacciato di avere più volte «invaso le competenze» degli altri ministri, finendo per minare l’efficacia dell’azione dell’esecutivo e lo ha accusato di avere criticato più volte alcuni ministri evidenziando una mancanza di «cultura delle regole». Conte ha poi detto a Salvini di non avere gradito l’accostamento agli slogan politici i simboli religiosi, considerandoli «episodi di incoscienza religiosa» che rischiano di offendere il sentimento dei credenti e al tempo stesso di oscurare il principio di laicità, «tratto fondamentale dello Stato moderno».

Il richiamo al rispetto delle regole istituzionali il premier lo ha rivolto anche al M5S, considerato troppo sensibile ai sondaggi. E ha ricordato la mancanza di rispetto del gruppo pentastellato che, in occasione del suo intervento sulla questione russa, aveva abbandonato l’aula «senza ragione che potesse giustificare l’allontanamento».

«La crisi in atto compromette l’azione di questo governo che qui si arresta — ha infine detto Conte —. Ma bisogna andare avanti, c’è gran bisogno di Politica con la P maiuscola, bisogna progettare il futuro, offrire opportunità ai nostri giovani, che vanno trattenuti e non costretti ad abbandonare il Paese». Conte ha rivendicato anche il ruolo che l’Italia (e lui stesso) ha avuto nell’elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea, ipotizzando un ruolo chiave di Roma sullo scenario geopolitico nell’area del Mediterraneo, come cerniera con i Paesi africani, e ricordando i passi compiuti nei confronti di mercati extra-Ue come la Cina, l’India e la Russia.

Ha infine annunciato di volere rispettare fino in fondo l’iter istituzionale: resterà pertanto ad ascoltare tutti gli interventi dei senatori e solo al termine si recherà al Quirinale per ufficializzare la fine dell’esperienza del governo «nelle mani del presidente della Repubblica». Ultima stoccata alla politica che insegue il consenso sui social network e i titoli dei giornali. Facce perplesse alla sua destra (Salvini) e alla sua sinistra (Di Maio). Chiusura, infine, con un «Viva la nostra Patria, viva l’Italia», tra gli applausi dell’Aula (e l’indifferenza dei leghisti).

FONTE: CORRIERE.IT

 

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