L’ultimo, in ordine di tempo, è l’esterometro, introdotto con la fatturazione elettronica, che consiste in un documento in cui devono essere comunicate le operazioni transfrontaliere e le fatture attive e passive verso l’estero. A compilarlo sono tutti i soggetti provvisti di Iva registrati in italia e che emettono o ricevono fatture da o verso soggetti non residenti in Italia. L’esterometro, a partire dal 1 gennaio 2019, ha sostituito lo spesometro in virtù del fatto che tutte le fatture ora passano per il sistema centrale dell’Agenzia delle Entrate, il Sistema di Interscambio (SdI).
In concomitanza con l’esterometro è entrata in vigore anche la fatturazione elettronica, il cui obbligo era già stato introdotto per le strutture centrali della Pa a partire dal giugno 2014, venendo poi estesa a tutte le amministrazioni a partire dal marzo 2015.
Molto più controversa, rispetto ai due precedenti strumenti, è il redditometro, applicabile a tutte le annualità fino al 2015. L’Agenzia delle Entrate può incrociare numerosi dati sensibili dei contribuenti e verificare la presenza di eventuali anomali. Nello specifico, il reddito delle persone fisiche viene verificato in relazione al possesso di specifici beni o indici. In sintesi, gli accertamenti scattano nel momento in cui l’Agenzia vede dell’anomalie riguardo al possesso di beni non giustificabili dalla capacità di spesa del contribuente. Lo scarto tra l’accertabile e il dichiarato con il vecchio redditometro era del 25% mentre ora è stato ridotto al 20%.
FONTE: ILGIORNALE.IT
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